Lettera aperta sull’esistenza della lingua lombarda

Il 17 gennaio è, da ormai più di un decennio, la Giornata nazionale del dialetto e della lingua locale, iniziativa sostenuta dall’Unione Nazionale delle Pro Loco. Sulla scia di questa iniziativa, il consigliere regionale Alessandro Corbetta ha proposto, nello stesso giorno, l’introduzione della Giornata regionale della lingua lombarda come parte di un progetto di legge destinato alla tutela della lingua.

Ricordando il pieno mediatico successivo all’omologa legge del 2016, siamo ben felici di vedere come molti media abbiano riportato la notizia in modo corretto e obiettivo; è il caso di Monza Today, che termina il suo articolo con:

La lingua lombarda, già riconosciuta con legge regionale dal 2016, ha il proprio codice per la rappresentazione dei nomi delle lingue […]. Ma l’Unesco l’ha censita come lingua a rischio di estinzione.

Sicuramente, il solo riconoscimento di una giornata alla lingua lombarda e il finanziamento di alcune iniziative legate alla sua promozione non sono sufficienti per evitare la perdita della lingua, la quale avrà bisogno di altre misure affinché sia utilizzata e trasmessa alle nuove generazioni, e quindi non si estingua definitivamente. Sorvoleremo qui sull’efficacia della proposta e sui commenti di Angelo Ciocca, europarlamentare della Lega, che, promuovendo l’iniziativa per la lingua lombarda, ha attaccato anche la comunità di lingua romanì, come se la tutela di una lingua dovesse andare a discapito di un’altra.

Qui desideriamo, però, commentare l’articolo di Filippo Colombo per Radio Lombardia intitolato «Lega per la “giornata della lingua lombarda”. “Non esiste”, disse l’ex assessore leghista alla Cultura», con annesso articolo su LinkedIn, in cui, mettendo a tema la questione, si parla di “spreco” di 150 mila euro. In particolare, vogliamo discutere l’opinione presente nell’articolo riguardo l’esistenza della lingua lombarda:

Il fatto è che la lingua lombarda non esiste. Si può parlare, con tutto il rispetto, di dialetti. E spesso molto diversi tra di loro” l’affermazione dell’ex assessore alla cultura Prof. Stefano Bruno Galli, che ha sostenuto “tutti i linguisti più accreditati dal punto di vista accademico sostengono, secondo me giustamente, che una lingua lombarda non esista”.

Nella risposta a Galli sull’esistenza della lingua lombarda, il Partito Democratico della Lombardia sostenne che il lombardo non esistesse perché non riconosciuto dalla legge italiana in materia (ossia la legge 482/99), mettendolo a confronto con friulano e sardo, «ex dialetti italiani» perché ormai considerati lingue dalla legislazione, e che invece si dovesse parlare di «insieme di dialetti».

In ogni caso, l’assessore ha contattato Radio Lombardia, reiterando nei fatti la posizione che aveva assunto nel 2022, dividendo il lombardo in quattro lingue: occidentale, orientale, alpino e meridionale. Tale divisione ricalca a grandi linee la classificazione dei dialetti lombardi proposta dai più importanti dialettologi e linguisti italiani che si sono occupati dell’area (cfr. Lurati 1988, Loporcaro 2009, Devoto e Giacomelli 1972, Sanga 1984).

La divisione in quattro lingue indipendenti, però, esagera senza ragione le differenze dei tratti presenti nei diversi macrogruppi qui appena elencati. È ormai pacifico che i tratti linguistici che accomunano i dialetti dell’area lombarda siano molti di più di quelli che li differenziano: lo stesso Sanga (ibidem) dedica due pagine ai tratti comuni dei dialetti lombardi, lasciando invece solo poco meno di metà pagina alle caratteristiche particolari, tutte meramente fonetiche, del lombardo orientale.

Bisogna ricordare che Galli è uno stimato professore universitario, ma di scienze politiche. Per questo, l’assessore ha dichiarato di aver discusso la questione con Angelo Stella, italianista e filologo recentemente scomparso, il quale aveva così commentato la legge regionale 25/2016 (Stella 2016: 245):

Lingua lombarda è un concetto storico-linguistico ben definito nel passato, e riesumabile solo come prospettiva di servizio a una complementare, e scontata, indagine sociolinguistica sulle varietà municipali e areali di italiano lombardo, con i diversi colori e le loro diverse misure, diatopiche e diafasiche, da Carlo Porta ai soldati (non agli ufficiali) del Risorgimento e della prima Guerra Mondiale.

Questa posizione è insostenibile perché vuole inglobare all’interno dell’italiano un sistema linguistico a esso alieno, ossia quello lombardo. Non si capisce perché gli studi sul lombardo non possano prescindere dall’italiano: sembrerebbe di essere intrappolati in una sorta di ancillarità obbligata e in una non troppo velata sacra riverenza verso la lingua italiana. Tutto dimostra come il problema non sia di ordine linguistico, quanto ideologico: quella sopra citata è, infatti, un’opinione che non ha nulla a che vedere con la linguistica, ma solamente con l’ideologia del compianto professor Stella.

Lo stesso Stella, nella prefazione a Sanga (1984), individua, però, un’antica unità dell’area linguistica lombarda, scrivendo che:

L’edizione dei Volgari di Bonvesin si fondava anche su una ricerca sincronica in area periferica, a riscontro e verifica di una fenomenologia arcaica isomorfica. Il vocalismo d’uscita della scripta milanese trecentesca descrive la situazione ossolana dei nostri anni trenta l’arcaismo bonvesiniano vive ancora in Valtellina o nell’Oltrepò, la reliquia lanciniana si riscopre in Valsassina, l’hapax maggesco nel Varesotto.

In parole povere, Stella riconosce che i fenomeni antichi del milanese sono ancora vivi o da poco scomparsi nei diversi dialetti del medesimo sistema linguistico, cosa che chiaramente è testimoniata da un’evoluzione comune. Sanga, nello stesso volume, identifica con dialetto regionale una varietà che «accoglie le isoglosse comuni ai dialetti della zona, elimina i tratti locali più vistosi e per il resto si riferisce al dialetto del centro principale» (p. 25), aggiungendo nei riguardi del lombardo:

Il dialetto regionale lombardo coincide in larga misura col milanese. Nel più ristretto ambito delle rispettive province funzionano da dialetti provinciali il bergamasco, il bresciano, il pavese, ecc (ibidem)

La linguistica italiana, per ragioni storiche e tradizionali, favorisce una definizione sociolinguistica di lingua legata, oltre che a ragioni sociopolitiche, all’influenza che la grande tradizione letteraria toscana, e quindi italiana, ha avuto sulle lingue locali, rendendo l’italiano lingua di cultura e lingua guida per tutta la Penisola.

L’Academia Bonvesin de la Riva aderisce, invece, alla visione espressa, tra gli altri, da Tamburelli e Tosco (2021: 8) secondo cui: (1) bisognerebbe definire cos’è un dialetto (qui inteso come ‘varietà [diatopica] di lingua’) e cosa una lingua solo in termini strutturali e comunicativi, a prescindere dall’uso dei termini utilizzati in sociolinguistica o in altre discipline; (2) l’opposizione tra dialetti e lingue è scalare e non discreta; (3) questa opposizione scalare è misurabile con la mutua comprensibilità e la distanza linguistica. Per cui, la distanza linguistica tra lombardo e italiano è tale da considerare il primo come una lingua indipendente (Tamburelli 2014); a loro volta i dialetti lombardi sono considerati varietà pressoché omogenee; solo per citarne uno: «Lombard dialects can be considered a linguistically homogeneous group» (Sanga 1997: 253).

È confortante vedere come gli argomenti contro l’esistenza della lingua lombarda si stiano riducendo: se pensiamo che anche Paolo d’Achille, presidente dell’Accademia della Crusca, noto per la sua “smentita” della lingua lombarda con il tema del mese dell’ottobre 2016, nel 2022, nell’articolo La XXI Giornata europea delle lingue. Un’occasione per riflettere sull’invadenza dell’inglese, avvii una netta apertura verso le lingue regionali d’Italia:

Si sente parlare spesso di “lingua napoletana”, di “lingua piemontese”, di “lingua lombarda”, ecc., indicazioni che spesso fanno riferimento non a un dialetto locale ma a quella che è stata chiamata koinè regionale, che è certamente presente in certe zone (come il Veneto, in cui il dialetto veneziano funge da dialetto di koinè), ma non in altre. Va detto ancora che, accanto ai singoli dialetti d’Italia (tutti derivati dal latino e detti “dialetti primari”), esistono anche i cosiddetti “dialetti secondari” (dialetti dell’italiano, e non del latino), solitamente indicati come “italiani regionali”, che – a parte poche categorie professionali – sono normalmente parlati ogni giorno da tutti gli italiani […]. Ora, è indubbio che i dialetti vadano a tutti gli effetti considerati lingue sul piano strutturale […]. I dialetti, alcuni dei quali hanno mostrato una sorprendente vitalità, vanno certamente tutelati e preservati al pari delle lingue minoritarie, ma la loro possibile espansione negli usi ufficiali potrebbe mettere in crisi l’italiano.

L’apertura sta nel fatto che siano considerate lingue minoritarie degne di tutela e di azioni di politica linguistica, seppur con lo scetticismo sull’uso ufficiale, posizione molto conservatrice rispetto a ciò che sta accadendo, invece, nel resto d’Europa. Infatti, la promozione in ambito ufficiale di un’altra lingua minoritaria non ha mai messo in crisi l’uso della lingua nazionale: ciò si può vedere con le nuove prospettive di diffusione mediatica e istituzionale dell’asturiano nella comunità autonoma del Principato di Asturie in Spagna, lingua che sempre più affianca (e non scalza!) il castigliano. Inoltre, questo intervento mostra come il problema non sia linguistico ma politico, dal momento che un possibile riconoscimento, secondo il professor D’Achille, rischierebbe di «mettere in crisi l’italiano».

Ciononostante, parlare di lingua lombarda e della sua tutela è qualcosa di non più così controverso: si dimostra ciò che abbiamo sostenuto lungamente, ben prima di formare l’Academia, ossia che ci sia fondamentalmente una differenza di approccio nel definire cosa si intenda per lingua.

Molto spesso, sembra che la diffidenza generale nasca dalla confusione tra il concetto di lingua e standard: una lingua è, come sopra detto, un insieme di varietà tra di loro intercomprensibili e che condividono determinati tratti grammaticali, che si distinguono in base al luogo (diatopia), alla situazione (diafasia), classe sociale (diastratia) e mezzo di comunicazione (diamesia), a cui si potrebbe aggiungere il tempo (diacronia); lo standard è, invece, una varietà di prestigio di una lingua, che può essere scelto tra le varietà diatopiche oppure attraverso altre modalità (es. creando una varietà intermedia tra le diverse esistenti, attraverso una varietà letteraria, …). Lo standard appartiene all’asse diafasico dell’architettura della lingua, ossia il continuum delle varietà di una lingua. Una lingua è tale, quindi, anche in assenza di uno standard di riferimento: se così non fosse, le lingue del Nord America non sarebbero da considerarsi lingue perché non posseggono uno standard e per di più sono sociolinguisticamente subordinate all’inglese.

Come Academia Bonvesin de la Riva, noi ribadiamo l’esistenza della lingua lombarda intesa come insieme dei dialetti lombardi. Questa lingua, come tutte le lingue locali e minoritarie, necessita di tutti i supporti affinché non si perda per sempre: questo deve passare anche, ma non solo, attraverso l’uso ufficiale, l’insegnamento a scuola e l’inserimento della lingua nel mondo lavorativo. Il solo utilizzo in teatri “dialettali”, in poesie amatoriali o in canzoni popolari, per quanto iniziative nobili, non bastano a salvare una lingua. Anzi, il fatto di relegarla al folklore è uno dei passi verso la sua morte. Affinché una lingua sia usata, deve diventare una lingua utile in tutti i contesti, da quelli più umili a quelli più professionali.

Bibliografia

  • Benincà, P. (2000) Lombardy. In Encyclopedia of the languages of Europe, eds. Price, G . Oxford: Blackwell.
  • Loporcaro, M. (2009) Profilo linguistico dei dialetti italiani. Roma/Bari, Laterza.
  • Lurati O. (1988) Aree linguistiche III. Lombardia e Ticino. in Holtus G., Metzeltin M., Schmitt C. (eds.) Lexikon der Romanistichen Linguistik (Band IV: Italienisch, Korsisch, Sardisch), New York-Amsterdam, De Gruyter, pp. 485-516.
  • Sanga, G. (1984) Dialettologia lombarda: lingue e culture popolari.
  • Sanga, G. (1997) Lombardy. In Dialects of Italy, eds. Maiden, M., and M. Parry, 253-259. London: Routledge.
  • Parry, 253-259. London: Routledge.
  • Stella, A. (2016) Lingua lombarda? Istituto Lombardo-Accademia di Scienze e Lettere, Rendiconti di Lettere.
  • Tamburelli, M. (2014). Uncovering the ‘hidden’ multilingualism of Europe: an Italian case study. Journal of Multilingual and Multicultural Development, 35(3), 252-270.
  • Tamburelli, M., & Tosco, M. (2021). What are contested languages and why should linguists care. Contested Languages: The Hidden Multilingualism of Europe. Studies in World Language Problems. Edited by Marco Tamburelli and Mauro Tosco. Amsterdam and Philadelphia: John Benjamins Publishing Company, 8, 1-16.