Tra fede e poesia: vita e opere di Francesco Pertusati

Il primo milleottocento fu certamente un periodo di splendore per la letteratura milanese, spesso identificato con il sommo poeta ambrosiano Carlo Porta. Tale identificazione, certamente dovuta grazie al ruolo apicale del charmant Carline nella storia della lingua lombarda, rischia però di sminuire poeti contemporanei che hanno dato un importante contributo alla storia letteraria di Milano.

Ritratto di Francesco Pertusati, di Francesco Bruni

Ciò non può essere più vero per il poeta di cui parleremo oggi, ritenuto uno dei migliori poeti milanesi dai suoi contemporanei, citato in varie raccolte antologiche ma quasi completamente dimenticato oggi, in un certo senso, un anti-Porta: se il Porta era d’origine borghese, lui era un nobile; se il Porta era anticlericale, lui frequentava giornalmente la Chiesa e per poco non diventava gesuita, se il Porta era una sorta di progressista, in principio vicino alla rivoluzione francese rimanendone deluso successivamente, lui era il reazionario per eccellenza, spiccatamente antigiacobino.

Parliamo di Francesco Pertusati, che in milanese si firmava Franzesch Pertusaa, ma soprannominato Linoeucc (corto di vista): di stirpe nobile, fu grande apologeta della fede cattolica, che quasi letteralmente difese sino all’ultimo giorno, venne ricordato come uno dei migliori poeti milanesi dai suoi contemporanei e anche come discreto verseggiatore in lingua italiana. Ebbe anche ruoli politici sotto gli Asburgo: oltre che intimo amico del governatore della Lombardia Ferdinando e della moglie Maria Beatrice d’Este, che solevano frequentare casa sua e il suo piccolo teatro domestico, era ciambellano di Sua Maestà Imperiale Reale Apostolica e magistrato dei LX decurioni e, brevemente tra il 1784 e il 1785, regio amministratore del Pio istituto di Santa Corona.

Se Carlo Porta è il simbolo della poesia milanese progressista e anticlericale, Francesco Pertusati rappresenta il lato nascosto di una Milano conservatrice e devota. Poco conosciuto oggi, Pertusati era considerato dai suoi contemporanei un maestro del verso dialettale, fedele alla Chiesa e difensore della tradizione

Cenni biografici

Il Pertusati nacque a Milano il 9 maggio 1741 e veniva da una famiglia nobile: sia il bisnonno Luca che il nonno Carlo furono presidenti del Senato di Milano, mentre suo padre, Luca, fu solamente Senatore. Lo tenne a battesimo presso la basilica di San Calimero l’omonimo prozio olivetano, vescovo di Pavia e arcivescovo titolare di Amansea.

Quarto figlio, rimane orfano di madre nel 1758 e poco dopo diviene il primo erede maschio, dopo la morte dei fratelli, ereditando il titolo comitale e il feudo di Santa Barbara negli Stati sardi. Studierà filosofia al collegio gesuita, prima a Chieri, ove venne ammesso il 13 ottobre 1759, e poi a Brera, dove si trasferì per compiere gli studi di retorica nel 1762, insegnandola anche al liceo a Como da novizio, e pur desiderando perseguire la carriera ecclesiastica, su indicazione del padre lasciò il collegio per poi prendere in moglie la contessa Maria Olginati, che sposò nel settembre 1772. Ebbero insieme probabilmente dieci figli, ma solo cinque, un maschio e quattro femmine, arrivarono all’età adulta.

Durante la permanenza a Brera conobbe padre Nikolaus Joseph Albert Diessbach, che ivi si occupava della direzione spirituale e fu strumentale per la creazione di uno dei primi gruppi dell’Amicizia Cristiana, a cui aderì convintamente e che continuò a sostenere sino alla morte con la sua incessante attività di traduzione, nella quale venne aiutato dalla moglie, anch’ella parte dell’Amicizia. Per i temi relativi all’Amicizia Cristiana consigliamo caldamente la lettura della tesi di Cinzia Sluas “« Les Amis De La Religion Et Le Bons Livres ». L’“amicizia Cristiana” Dal Progetto Di N. J. A. Von Diessbach Alla Sua Dissoluzione (1771-1817).””

Fu particolarmente duro nei riguardi del giansenismo, che criticò anche nella propria poesia dialettale, e che combattè anche insieme a Luigi Mozzi de’ Capitani: grazie al presbitero, fondatore della Pia Scuola Serale di Bergamo, vide una grande diffusione delle proprie traduzioni, che pubblicizzò tra allievi e studiosi. La sua opera per l’ortodossia cattolica raggiunse addirittura Papa Pio VI, che nel 1791 gli inviò una breve per ringraziarlo e sostenerlo.

Inizio dell’attività poetica e di traduzione

Il Pertusati, residente nel Palazzo di famiglia in Porta Romana (oggi demolito a causa dei danni post-bellici e sostituito da un complesso di appartamenti), aveva una piccola tipografia domestica, che denominò sempre mediante anagramma del proprio cognome, tra essi Setuprati o Trasupeti, ove stampò sia questi libretti sia i suoi altri versi italiani: soleva pubblicare falsificando il luogo di stampa, scegliendo Palermo o Monaco nelle edizioni giunte a noi.

Ebbe una prima esperienza poetica nel 1775, quando commentò con lo pseudonimo anagrammato di Canfresco Puresatti la soppressione del monastero di Santa Lucia con due libretti in stile goldoniano intitolati Le monache in disordine e Le monache in gala: si pentirà però rapidamente di ciò che ha scritto e ritirerà tutte le copie che riuscirà a trovare, tant’è che Pietro Rudoni, suo primo biografo, dovette rivolersi al nobile Trivulzio, che le aveva conservate: resta in dubbio l’effettiva pubblicazione del primo, che sarebbe comunque conservato nella Biblioteca Ambrosiana.

Nel 1779 morirà il suo carissimo padre all’età di ottant’anni.

Al 1785 risale la sua prima traduzione in italiano: La consolazione del Cristiano o motivi di confidenza in Dio nelle diverse vicende della vita dell’uomo, dell’abate Roissard, seguita cinque anni dopo dall’opuscolo Via piana, unica, e sicura per chiunque traviar non voglia dalla retta e sana credenza, sempre a tema spiccatamente religioso. Nel medesimo periodo pubblicò altri quattro opuscoli ad Assisi che però non arrivarono a noi.

La rivoluzione francese

Particolarmente difficili per lui furono i momenti della rivoluzione francese, sia per un mero fatto morale e religioso, fu in quel periodo che si avvicinò ancor di più alla fede frequentando giornalmente la Chiesa di Santa Maria presso San Celso (nota in milanese come Gesa di Spos), sia per un fatto pratico, dato che venne arrestato il 26 maggio 1796 e, dopo una lunga traduzione tra Milano, Pavia, Voghera e Tortona, tenuto ostaggio a Nizza sino ad ottobre, quando viene liberato e si stabilirà intorno a Novara, dove conoscerà anche le idee rivoluzionarie federaliste del Ranza, e otterrà rifugio in un convento maschile.

In tutto questo periodo, e sino all’ottobre del 1798, tiene un diario, che si conclude con il suo trasferimento prima a Pallanza e poi a Nerviano.

L’anno successivo sarà più duro per il Pertusati, che si nasconderà dalle autorità della Repubblica Cisalpina ormai morente, esperienza che racconterà nelle sestine Meneghin scondùu foeura de ca in di ultem agonii della Repubbleca Cilappina (Cilappin è un termine che il Cherubini attesta come “scioccherello”), che verranno pubblicate nel medesimo anno nella raccolta Meneghin sott’ai Franzes, con dentro anche contenuti relativi alla sua detenzione nizzarda, all’ospitalità novarese, alla rivoluzione (con dure critiche in “l’Albor de la Libertàa“, “La Coccarda” e “L’Uguaglianza“) e generali considerazioni sulla moralità del tempo.

Non avrà altri problemi con le autorità e nel 1812, in seguito alla morte dell’amata moglie, pubblica delle memorie dedicate a lei. Fu particolarmente consolato dalla fine del regime napoleonico e dalla Restaurazione, oltre che dalla liberazione di Papa Pio VII e della ricostituzione della Compagnia di Gesù, la sua reazione, che incluse l’affermare di “essere nati tedeschi” e di voler morire tali lo fece giudicare austriacante da Attilio Momigliano nel suo saggio dedicato a Carlo Porta: pubblicò anche un sonetto sul ritorno di Francesco I a Milano intitolato Per el bell dì dell’entrada in Milan del nost amatissem patron l’augustissem Imperator Franzesch I.

Gli ultimi anni

Nel 1816, conosciuto il pensiero illuminista di Voltaire, Diderot e d’Alembert e avendolo trovato ripugnante traduce dal francese Le Circostanze della morte corrispondente alla vita di tre supposti eroi del secolo decimottavo, opera che narra della vita e della morte dei tre filosofi transalpini.

Nel 1817 pubblica, su suggerimento dei suoi amici, le Rime milanesi, sua opera più importante in milanese, una raccolta di sonetti principalmente a tema religioso e morale e nello stesso anno muore, a 44 anni, il suo primo figlio: a lui rimangono quattro nipotini da crescere l’anno successivo, quando diparte anche la nuora.

Anche nella tarda età, seppur sempre più stanco, continuerà a tradurre: non si limita ai testi religiosi ma anche a opere di carattere educativo, come una raccolta di storie francesi e un testo d’istruzione critico di Rousseau e del suo Emilio.

Verso la fine dei suoi anni continua a frequentare la sua amata basilica di San Calimero, oppure la chiesa di Santa Maria, praticamente ogni giorno, visitando invece la basilica di Santo Stefano Maggiore nei giorni di precetto, per ascoltare le omelie di Francesco Maria Zoppi, futuro primo vescovo di Massa e anch’egli membro dell’Amicizia Cristiana, assieme al presidente Della Porta, suo compagno di fede.

Diviene al contempo fautore dell’adorazione eucaristica e della venerazione degli Angeli Custodi, che favorì nella propria parrocchia. Proprio per l’adorazione eucaristica tradurrà una serie di esercizi spirituali nel 1822 e si apre anche all’edizione di brevi testi religiosi sull’esperienza milanese. La sua opera porterà alla conversione anche un suo stretto amico di fede protestante.

Consegnerà la sua ultima traduzione, il testo apologetico dell’ortodossia cattolica, Il Cristiano Cattolico inviolabilmente attaccato alla sua religione merce la considerazione di alcune prove che ne stabiliscono la certezza, al suo storico stampatore Pirotta, dicendogli “prendete l’ultimo mio lavoro, m’interessa sia stampato”, due giorni prima della sua morte, avvenuta il 22 maggio 1823: più precisamente, rivela un carteggio di Federico Confalonieri con la moglie, venne trovato morto nella propria camera.

Il suo funerale, celebrato ovviamente nella basilica di San Calimero, vedrà una grande partecipazione popolare. Bisogna anche notare come la vena poetica è rimasta in famiglia: il nipote omonimo, che crebbe con lui dopo la morte del padre e che visse fino al 1873, fu ricordato anch’egli come buon poeta in latino e in italiano.

L’opera letteraria del Pertusati

Per quanto riguarda la lingua italiana, Francesco Pertusati è ricordato quasi esclusivamente come traduttore di testi a carattere storico, filosofico e religioso, seppur molto prolifico: una ricerca su OPAC SBN mostra 170 testi da lui pubblicati come autore, per quanto vi siano ovviamente dei doppioni e delle edizioni divise su più volumi: una stima di fine ottocento parla di circa 50 traduzioni a suo nome. Scrisse comunque alcune poesie, raccolte in Saggio di poesie in prosa di un verseggiatore lombardo, diviso in due parti e pubblicato nel 1791.

Ben più rilevante fu il suo contributo alla letteratura milanese: oltre alle già citate Rime milanesi, che includono anche opere precedenti (come Dodes sonett d’on Meneghin del Credo vegg su la moda del vestis di donn del dì d’incoeu del 1809 e alcuni sonetti del periodo franco-piemontese), è interessante anche il precedentemente menzionato Meneghin sott’ai Franzes. Son sicuramente di interesse anche le sue bosinate familiari come Per le nozze di D. Marianna Pertusati (1791 circa), Alla sciura donna Carolina Pertusada Sertoli (pubblicata 1797), In Occasion Del Faustissem Matrimoni Intra La Zittadina Balbora Pertusada E El Zittadin Scipion Giani (1798) e Per el matrimoni Berz-Pertusati (1813).

Altre sue poesie son raccolte nel decimo volume della Collezione delle migliori opere scritte in dialetto Milanese, insieme ad altre opere di Giuseppe Bertani e Alessandro Garioni, pubblicata nel 1816.

La lingua del Pertusati

Il milanese del Pertusati è quello che ci si può aspettare da una persona della sua epoca e della sua condizione sociale: sono presenti numerose forme colte e italianeggianti, difficilmente associabili al parlato come il gerundio, ma anche numerose forme conservative: “Dia” per “Dio”, con ricordo di “Dè” in forme composite come “Domendè”, il plurale metafonetico (“sonett” -> “sonitt”, “todesch” -> “todisch”, “el sò” -> “i soeu”), il mantenimento di “qu” per “c” in alcuni casi (“El miràquel di Madonn” o “pien de periquel”) e varie forme antiche, oggi percepite come provinciali, come “cardega”, “straa” per “strada” o “Carla Borromee” per “Carlo Borromeo”.

Rispetto all’odierno milanese, ma in modo comune ad autori dello stesso tempo, egli mantiene l’uso di “paricc” per “parecchi”, usa ancora “eva” per “era” e “boeugna” per “bisogna”, adopera ampiamente il gerundio non progressivo (“Repassand in la memoria”) e usa non raramente il rotacismo (per esempio “doeur” per “duole” o “anger” per “angelo”).

A livello stilistico si nota un uso parco del parlà per zeta, in forme come “arziduca” o “zerusegh”, alle volte “zittaa” e, nelle prime edizioni dei suoi testi, si leggono forme grafiche superate dai contemporanei come “giesa”, “schoeura” e “inchoeu”, comunque già adeguate all’uso moderno nelle Rime Milanesi. Degno di nota è l’uso del carattere “æ”, che utilizza molto raramente nelle proprie poesie (“pæna el castell” in Meneghin sott’ai Franzes): tale carattere, pronunciato /æ/, venne introdotto ai tempi del Maggi probabilmente per influenza popolana della Bassa (Vai, 2017) ed era in remissione al tempo del Pertusati, come testimonia il fatto che sia utilizzato dal Balestrieri e da Tanzi ma non dal Porta: il suo uso è atipico, dato che in milanese sostituiva solitamente la “a” (ad esempio: parlæ per parlaa), mentre qui sostituisce una “e”, cosa che ricorda un’imitazione della pronuncia del francese “peine”, che sarebbe coerente con il resto del testo. Viene notato nei testi d’epoca cisalpina anche l’uso di “aè” in alcune forme dov’è pacifica la pronuncia in e aperta (passati remoti, “cabaraè”), forse contrapponibile alla forma chiusa presente nei medesimi testi “èe”.

Bisogna comunque dire che l’ortografia milanese del primo Pertusati è incerta, con scelte alle volte stravaganti o non condivise da altri autori: nei sonetti per la figlia Carolina usa sia “eu” che “oeu” per la vocale turbata, usando però un misterioso “oe” in “moei” (meglio).

Di particolare interesse è il suo uso del passato remoto: se si credeva comunemente che l’ultima attestazione di questo tempo verbale a Milano fosse prima del 1800 (più precisamente in due testi del 1793) il Pertusati lo usa anche oltre, ad esempio nei sonetti sulla moda del 1809: “Ch’el tirè i fiamm su la zittaa de Lott!” (“che tirò le fiamme sulla città di Lot”, ossia Sodoma).

In ogni caso, il tipo di lessico religioso, onomastico e geografico da lui utilizzato merita approfondimento e mostra la ricchezza del dialetto milanese, capace di esprimere qualsiasi concetto e con termini precisi. Inoltre, scopriamo toponimi ben al di fuori dell’areale lombardofono: Genevra, Camp Elis, Cuni, Turin, Vissenza, Bassan, Piemont, Vesuvi, Lissandria. Così come leggiamo Tazet per Tacito o Maria Beatriz d’Est per Maria Beatrice d’Este.

Le sue poesie per i contemporanei e i critici

I suoi contemporanei ritenevano il Pertusati un poeta di qualità e tale fama rimane attestata almeno sino ai primi del 1900.

Nella Collezione delle migliori opere scritte in dialetto milanese Francesco Cherubini parla di uno “stile naturale e vivace” e definisce le poesie matrimoniali “ottime istruzioni si ritrovino sui doveri di chi s’avventura ad esser madre”, mentre le poesie didascaliche religiose vengono pubblicate per gli “ottimi insegnamenti che sotto il velo delle parabole si vogliono insinuare nell’animo de’ lettori”.

Sempre il Cherubini gli darà un altro gran riconoscimento nelle “Notizie Filologiche” del quinto volume del Vocabolario milanese-italiano, dov’è uno dei poeti citati nella storia linguistica del milanese.

Nel suo Saggio sui dialetti gallo-italici il Biondelli lo menziona, insieme a Giuseppe Bossi, come uno dei poeti che avviarono la riforma del milanese poi completata da Carlo Porta, “principe de’ poeti vernacolari”.

Anche nelle Poesie edite e inedite del Porta edite da Hoepli grazie a Angelo Ottolini viene citato nei precursori del Porta, che hanno lasciato “notevoli poesie, degne di studio per la conoscenza della storia e dei costumi del tempo”.

Particolarmente interessante è il paragone offerto da Attilio Momigliano nel suo saggio l’Opera di Carlo Porta (1908), dove molte delle tematiche sullo stato del clero ambrosiano vengono prima viste con gli occhi del religioso Pertusati e poi con quelli dell’anticlericale Porta: all’autore il Momigliano riconosce una religiosità onesta e sincera, seppur figlia necessaria della sua formazione e del suo status sociale.

Il pensiero del Pertusati

Pertusati è sintetizzabile in due concetti: nobile e cattolico devoto.

Come nobile, rigettò integralmente la rivoluzione napoleonica e le sue conseguenze, criticando nei suoi testi in milanese la Repubblica Cisalpina, le sue istituzioni, i cittadini che la sostenevano anche non ribellandosi e le sue decisioni politiche, mentre tradusse dal francese in italiano opere contro l’illuminismo, corrente filosofica che come ben sappiamo favorì l’ascesa di sentimenti rivoluzionari contro l’ordine costituito. In una poesia, arrivò a definire “terroristi” i giacobini e nei suoi testi d’epoca cisalpina si trovò a criticarne anche la bandiera, probabilmente in una delle prime poesie della storia a irridere il tricolore italiano, appellandosi contro di essi a San Disma, il protettore di chi veniva derubato.

Criticò anche le confische di armi da parte del governo napoleonico, ritenendole una forma di infantilizzazione della popolazione, lasciata incapace di difendersi, con un pensiero non lontano da quello quasi coevo di Cesare Beccaria.

Come cattolico devoto, oltre a dedicare molta della sua attività alla traduzione di testi di carattere religioso, trattò molti temi morali nelle proprie poesie: autodefinendosi del Credo Vecchio, certe sue opinioni potevano già risultare bacchettone per l’epoca. Per esempio, nel riguardo dei modi di vestire delle donne, denuncia come le nuove mode abbiano “infesciato il nostro terreno” e come i profeti di Dio l’abbiano condannata più e più volte, per non parlare delle centinaia di condanne nella Sacra Scrittura e dichiara di provare quasi vergogna a trattar certi temi, ma di farlo per portare le donne alla redenzione e mettere i discoli davanti alle proprie responsabilità.

Leggendo questi sonetti, paragona questi vizi a quelli che causarono la disturzione della città di Lot, ossia Sodoma, e sostiene che l’inferno ne sia pieno e invita le donne ad abbandonali e a far penitenza, per non finire al piano di sotto.

Nel testo per il matrimonio della figlia con il Berzi ci tiene egli stesso a fugare ogni dubbio sulla sua identità religiosa:

Marì e miee fev bona compagnia,
Del Santo Paradis tendii a l’acquist…
Mi sont on Meneghin de sacrestia.

Parlando di religione, una delle sue più note opere dialettali tra il grande pubblico fu una raccolta di parabole evangeliche in poesia.

Come per tanti autori è difficile delinearne un vero e proprio pensiero politico, oltre ad una generale tendenza conservatrice e pro-Austria: farlo probabilmente ci porterebbe a inquadrarlo secondo categorie moderne che al tempo non esistevano e, molto spesso, è più un esercizio di politica che di ricerca storica. Ma si tratta sicuramente di una figura interessante, figlia del proprio tempo e della propria condizione economica e sociale, che merita di essere tirata fuori dall’oblio in cui è oggi, specie per la spiccata contrapposizione che si nota rispetto al più noto poeta milanese del tempo: Carlo Porta.

Bibliografia

  • Rudoni, Pietro. Cenni sulla vita e sugli scritti del Conte F. Pertusati. Pirotta, 1823.
  • Vai, Massimo. Il clitico a nella storia del milanese. 2017
  • Tettoni e Saladini. Teatro araldico, ovvero Raccolta generale delle armi ed insegne gentilizi e delle piu illustri e nobili casate che esisterono un tempo e che tuttora fioriscono in tutta l’Italia. Volume Quinto. Lodi. 1846
  • Lumbroso, Alberto. Saggio di una bibliografia ragionata per servire alla storia dell’epoca napoleonica. Volume 2.Modena. 1894
  • Locatelli, Stefano. Edizioni teatrali nella Milano del Settecento. EDUCatt Università Cattolica. 2014
  • a cura di Giuseppe Gallavresi. Carteggio del conte Federico Confalonieri ed altri documenti spettanti alla sua biografia. Tipografia Ripalta. Milano. 1911.
  • Sulas, Cinzia. « Les Amis De La Religion Et Le Bons Livres ». L’“amicizia Cristiana” Dal Progetto Di N. J. A. Von Diessbach Alla Sua Dissoluzione (1771-1817).”. Roma. 2019
  • Canetta, Pietro. Storia del Pio Istituto di S. Corona di Milano. Tipografia Cogliati. Milano. 1883
  • Scaglia, Evelina. La pia scuola serale di Bergamo alta (1796-1940). in NS RICERCA n. 1, settembre 2013
  • Alfieri, Paolo. Pertusati Francesco in Dizionario Biografico dell’Educazione, 2013

Articolo a cura di Brian Sciretti con revisione di Jacopo F. Dovico. Si ringrazia Greta Losi per la rilettura.