La farsa Rococò: quando bresciano e milanese si incontrano

Articolo di Jacopo F. Dovico e di Brian Sciretti

La letteratura lombarda moderna è perlopiù municipale: sono le città a essere al centro dell’azione letteraria. Raramente si trovano opere che utilizzano più varietà in concomitanza. Però abbiamo dei bei esempi di testi che contengono personaggi che conversano in diverse varietà. Sicuramente uno dei più belli è la farsa Rococò.

Cos’è la farsa Rococò?

La farsa Rococò è un’opera in un atto scritta dal prete bresciano Gaetano Scandella pubblicata nel 1858 in Farse in dialetto bresciano per collegi, oratorj e scuole maschili. Si racconta la storia di Bernardo, un falegname con molti debiti da pagare che vuole vendere i mobili di suo nonno, e perciò cerca di sbarazzarsene orchestrando con i suoi amici un inganno ai danni del Conte Arsenico.

L’ortografia utilizzata

L’ortografia utilizzata appartiene chiaramente al modello classico. Forse è uno degli ultimi testi bresciani a utilizzarla, dal momento che la maggior parte dei testi della fine del 1800 utilizzano la grafia fonetica a base italiana (ad esempio nelle poesie del filosofo Francesco Bonatelli: O lèngua dei Bressà, lèngua poerina, / che te sé stada sèmper despressada, / te sé come ’na bèla s-citulina, / che nissü i varda perchè l’è sbindada).

Le caratteristiche principali sono che la [y] è rappresentata da <u> e la [œ] da <œ>, ma, al contrario della grafia milanese, la [u] è rappresentata dalla <û>. Per il tipico plurale orientale -t > -cc, il testo utilizza <gg>, la quale era la tendenza più diffusa nella grafia classica orientale: basti pensare a La massera da bé di Galeazzi degli Orzi (1492 – ?), che utilizza addirittura <ğ>, o Giovanni Bressani (1489-1560), che scriveva tag per tancc (Danzi, 2020).

Il milanese visto dal bresciano

È sicuramente interessante la rappresentazione grafica del milanese fatta da Scandella:

Perit milanes:
Propi, sunt de Milà 
perit e patentà
E se sti rob antich
I fussen vendu no...

L’autore non considera la lunghezza vocalica dei participi milanesi (vendu / patentà), dal momento che nella varietà bresciana non non è presente in questo contesto (vendid/vendud: bresc. [en’dit] vs. mil. [ven’dy:]). Inoltre, in Milà probabilmente non riconosce la tendenza alla nasalizzazione della vocale tonica in posizione finale davanti alla nasale [n], fenomeno tipico della varietà meneghina (bresc. [mi’la] vs. mil. [mi’lã]).

Carlo:
Nol sif? l'è quindes dé,
Che ste mobei antich,
Che noi valìa gna œun fich;
I è deentagg de moda: él vera te?

Perit milanes:
L'è insì l'è propi insì.
Sti còs antich, sti mobii,
Ch'in ciamà rococò
In cercà dai prim nobii;
E i paghen giu comè.

Nella scena XI della farsa avviene una conversazione tra i protagonisti in due varietà diverse di lombardo (bresciano e milanese) nel momento in cui arriva il perito da Milano e si scopre l’inganno. I personaggi bresciani dimostrano di non aver alcun problema a capire ciò che viene detto dal perito milanese. Soprattutto è da segnalare che quando parlano al conte (che parla italiano), utilizzano un italiano lombardizzato, mentre con il perito il loro bresciano è preciso, mostrando di aver coscienza di parlare due varietà molto vicine.

Anche qui possiamo vedere che non si riconosce la lunghezza vocalica dei participi (ciamà). La cosa interessante è che si utilizza la forma insì invece del milanese inscì. Ci sono tre possibilità per una tale divergenza:

  1. L’autore non differenziava tra <sc> e <s> nei contesti in cui anche cambiano tra Milano e Brescia, anche se questa ipotesi è improbabile (es: mil. inscì, sciat vs. bresc. issé, sat);
  2. L’autore non conosceva molto bene tutte le caratteristiche del milanese e si è basato sulla propria varietà;
  3. Il personaggio non parla un milanese di città, ma piuttosto una varietà più vicina al pavese, dove si dice proprio insì.

Infine si riscontra anche qualche confusione sull’utilizzo della <u> in sunt e giu, che in realtà sarebbero sont e gio nella grafia utilizzata da Scandella. Ciononostante, è da segnalare che, tranne per alcuni adattamenti grafici, la lingua del perito non è un bresciano milanesizzato (come il milanese travestito da bergamasco del Cheribizo (1624) o del bosinasco del ‘700/’800) e neppure un milanese mischiato al bresciano: ci troviamo di fronte a un milanese abbastanza “pulito”, anche se insicuro nella grafia.

Bibliografia

  • Gaetano Scandella, Farse in dialetto bresciano per collegi, oratorj e scuole maschili, Brescia, 1858
  • Massimo Danzi, Tra Bergamo e Brescia. La misura trilingue del bergamasco Giovanni Bressani, 2020